5/13/2007

ANNO INTERNAZIONALE POLARE

Riporto un articolo che ho pubblicato per la rivista di viaggio Arte Nomade. Ho tolto le citazioni e le foto per semplificare la lettura.

ANNO INTERNAZIONALE POLARE 2007-2008
Dai grandi esploratori del passato al progetto di ricerca “Carta dei Popoli Artici”


Il nostro pianeta, granello insignificante di sabbia perduto fra milioni di mondi, la distanza fra i quali viene talvolta espressa in centinaia di anni luce, è ancora lontano dall’essere del tutto esplorato e scoperto.

Internet e la televisione ci permettono, in una frazione di secondo, di visitare virtualmente ogni angolo della terra; un’illusione ci consente di credere che tutto sia vicino e facile. Senza sacrificio e sforzo.

Con la pura ragione è possibile trovare tutte le risposte e non c’è più bisogno di sperimentare direttamente sul campo, soffrendo e rischiando la propria pelle.

"La maggior parte della gente - come osservava il reporter Kapuscinski – parte per riposarsi (…) I giovani compiono viaggi di tipo agonistico, come cimentarsi nell’attraversamento dell’Africa del nord, o navigare sul Danubio in kajak. Non si interessano alla gente incontrata per strada: il loro scopo è di mettersi alla prova”.

Una tendenza che, spesso, porta solo alla pura commercializzazione dell’impresa.

A volte ci chiediamo se esistano ancora uomini capaci di donare tutto quello che hanno per superare le porte del mondo, per poter entrare nelle terre inesplorate e ricavarne un bene per la collettività; e se ci sono ancora delle aree del pianeta dove ciò sia possibile.

Alcune di queste ultime zone sono sicuramente rappresentate dalle regioni polari: l’Artide e l’Antartide. Aree dove scienziati ed esploratori stanno cercando di comprendere i molti meccanismi che regolano il clima del nostro pianeta.

Questi uomini mettono la propria vita al servizio della collettività per capire ciò che sta succedendo in ambito climatico e quale impatto hanno gli agenti inquinanti sul nostro ecosistema. Alcuni di loro indagano sugli usi e costumi delle popolazioni indigene artiche e subartiche, studiando l’umanità più antica e cercando di salvare le ultime espressioni della loro tradizione.

L’antropologo Mario Polia ama usare una metafora per definire questo tipo di lavoro: quella del notaio che raccoglie le ultime volontà del moribondo. Infatti, com’è noto, sono culture che stanno scomparendo rapidamente.

Riguardo alle spedizioni polari, già alla fine del secolo XIX il Duca degli Abruzzi, zio del celebre Duca d’Aosta, responsabile di una grande impresa polare che raggiunse una latitudine nord mai toccata dall’uomo, scrisse:
«Spesso si è discussa l’utilità delle spedizioni polari. Se si considera solo il vantaggio morale che si ricava da tali spedizioni, io lo credo sufficiente a compensare i sacrifici che per esse si fanno. Come gli uomini, che nelle lotte quotidiane, col superare le difficoltà, si sentono più forti per affrontarne delle maggiori, così è delle Nazioni, che dai successi riportati dai propri figli si devono sentire maggiormente incoraggiate e spinte a perseverare nei loro sforzi per la propria grandezza e prosperità».

Il celebre esploratore norvegese e Premio Nobel per la Pace Fridtjof Nansen, negli anni (era la fine dell’Ottocento) in cui ferveva una vera e propria corsa ai Poli, pronunciava parole molto dure contro chi sostituiva con la vanità del raggiungimento del traguardo, l’attrazione dell’ignoto e la curiosità di nuove conoscenze:

« (…) Con le gare l’addestramento del corpo è degenerato, divenendo meno sport: e tutto quello che è soltanto sport non ha molto valore. Invece di produrre uomini sani e indipendenti, lo sport crea dei vanitosi (…) ».

Gli esploratori polari erano Uomini d’azione e di cultura che hanno spinto se stessi e i propri uomini oltre i confini della Terra. Omero nel primo canto dell’Odissea sembra proprio evocarli:
«Musa, quell’uomo di multiforme ingegno che molto errò… che città vide molte, e dell’indole conobbe, che sovr’esso il mare sofferse affanni…».

Quando l’eroico Shackleton, nell’inverno del 1909, lasciò la base di Capo Royds per affrontare le incognite paurose del Polo antartico, disse a coloro che gli erano vicini e potevano capirlo:
«Prego e spero ardentemente di vincere; ho dato a questa impresa l’anima mia».

Tutta l’anima. E’ vero. Erano uomini puri sui quali la comodità, le agiatezze o anche il lavoro di una vita comune non hanno esercitato nessuna attrattiva, per i quali le feste, i ritrovi eleganti, la carriera, non rappresentavano che piccole cose di gente mediocre, si illuminavano nello sguardo al pensiero di azioni avventurose.

Li soggiogava l’imperio della scienza, erano attratti dal fascino che esercitava nelle loro anime il mistero di terre inesplorate, la voce potente dell’ignoto.

Uomini di mare lanciati verso l’ignoto. Ultimi uomini di un mondo che stava morendo…. di un mondo reso sempre più globale e “facile”…

In Italia ne abbiamo avuti molti, tra questi il già nominato Duca degli Abruzzi, il generale Umberto Nobile, Gennaro Sora ed i suoi alpini, Guido Monzino, primo italiano a raggiungere il Polo Nord con una squadra di fortissimi alpinisti, (come il valdostano Rinaldo Carrel), Il comandante Giovanni Ajmone Cat che negli anni settanta raggiunse due volte l’Antartide con il suo motoveliero “San Giuseppe II”, prima imbarcazione italiana a raggiungere il Continente Bianco. Il capitano di lungo corso Silvio Zavatti, tra i primi italiani a raggiungere l’Antartide e precursore degli studi etnografici polari; il primo studioso italiano che si è occupato sistematicamente delle aree polari e Mario Zucchelli, pioniere delle ricerche polari al Polo Sud e direttore dei progetti di ricerca italiani in Antartide.

Una storia fatta di uomini eccezionali, che hanno lasciato un’eredità molto impegnativa: unire l’avventura e la scienza a beneficio della collettività.

Difficile farlo oggi, quando quasi tutto è legato ad un’ottica di mercato; ma ci sono ancora tanti studisi ed esploratori che stanno emulando i loro Padri, seguendoli sulla via dei ghiacci eterni e dei popoli senza voce.

Tra loro anche un gruppo di studiosi italiani che hanno dato il via, nel 2002, al progetto di ricerca “Carta dei Popoli Artici”, ideato e coordinato da chi scrive. Un programma di lavoro nato per dar voce alle etnie artiche e subartiche e per organizzare nuove spedizioni di ricerca.

Difficile descrivere quello che si prova durante una spedizione polare. Forse vale la pena di affidarsi di nuovo alla penna di Nansen:
« (…) Non vi è nulla di più bello della notte polare. Un’immagine fantastica dalle tenui tinte, senza contorni netti: è un armonia di colori crepuscolari, da sogno; una musica lontana e indefinita di violini in sordina. Ma la vita non è sempre bellezza sublime, delicata e pura come questa notte? (…) ».

5/03/2007

Partenza Svalbard

Domani sera partiamo per le Svalbard. Finalmente.

Al gruppo si è aggiunto Luca Natali, già collaboratore dell'Istituto Geografico Polare e scialpinista.

Oggi chiudiamo tutti gli zaini e domani pomeriggio Il prof. Pompei dell'Un. di Camerino ultimerà le analisi pre-partenza.
Ieri ha effettuato una prima serie di analisi e al rientro paragonerà tutti i valori.
Verso le 19 partiremo per Milano. Abbiamo l'aereo sabato mattina alle 06.00.

Domani alle h.10 terrò a Fermo una conferenza sull'Anno Internazionale Polare ed il progetto "Clima che Cambia".

Riprenderò il blog al rientro verso il 15. Se avrò modo tenterò di aggiornarlo anche prima.

Per informazioni è possibile contattare il Museo Polare: info@museopolare.it
o la mia collaboratrice al seguente email: gianluca.frinchillucci@polarmap.org

4/26/2007

Groenlandia: nuova isola

Il surriscaldamento del pianeta fa comparire una terra fino ad oggi sconosciuta.
L'esploratore americano che l'ha scoperta l'ha battezzata Warming Island

POTREBBE diventare il vero simbolo dei cambiamenti climatici che stanno modificando l'aspetto del nostro pianeta. Dennis Schmitt, l'esploratore americano che l'ha scoperta, l'ha battezzata in lingua esquimese Uunartoq Qeqertoq, the Warming Island: sarà un nome che sentiremo spesso. La nuova isola è apparsa in seguito allo scioglimento dei ghiacciai della Groenlandia, il fenomeno che preoccupa di più gli ambientalisti di tutto il globo.

Fino ad oggi si credeva che quel lembo di terra, dalla forma di una mano con tre dita, fosse una penisola coperta dal ghiaccio che si allungava nella parte orientale della costa. Il rapido liquefarsi del ghiacciaio, però, ha mostrato chiaramente che si tratta in realtà di un fazzoletto di terra circondato dall'acqua.
Le fotografie catturate dal satellite fin dagli anni Ottanta mostrano l'evoluzione dello scioglimento del ghiacciaio e, al tempo stesso, svelano ciò che il Professor Schmitt per primo ha capito. Nelle foto risalenti al 1985 questa zona appariva come facente parte integrante della costa della Groenlandia. Già nel 2002 solo un sottile ponte di ghiaccio sembrava collegare le due terre. Oggi le due coste sono del tutto separate a causa di una trasformazione tanto rapida quanto sorprendente.

Ed è proprio la velocità con cui il fenomeno si sta sviluppando che inquieta il mondo scientifico: gli studiosi hanno calcolato che se nel 1996 il ghiacciaio si era sciolto di 50 chilometri cubici, nel 2005 ben 150 chilometri cubici di ghiaccio sono stati depositati nell'acqua. Solo fino a tre anni fa si credeva che ci sarebbero voluti 1000 anni prima che la coltre bianca della Groenlandia si spaccasse per sciogliersi nel mare, ma dal 2004 i dati parlano chiaro: il processo di disintegrazione si sta accelerando e avanza a una velocità tre volte maggiore rispetto a quella degli anni Novanta.

(fonte: www.repubblica.it)

4/18/2007

Svalbard


Cari partecipanti alla gtraversata nelle isole Svalbrad.
Il grafico di CMR (azienda fotografica di Massimo Zanconi), ha realizzato la cartolina, il petch e l'autodesivo.
Presento in anteprima il bozzetto.

Adesso stiamo rivedendo la cartolina e poi la metto on line.

Partecipanti:

Gianluca Frinchillucci
Giorgio Marinelli
Enrico Mazzoli
Pierluigi Pompei
Michele Pontrandolfo
Ugo Tesei
Massimo Zanconi

4/03/2007

Parlano di noi


E' uscito sul Corriere Adriatico (25 marzo 2007) un bell'articolo, a firma di Lolita Falconi, sulle nostre ricerche in Artico.

PARTONO DA FERMO I MODERNI ESPLORATORI DELL’ARTICO.

QUEI SILENZI “GHIACCIATI”


FERMO - Come Matteo Ricci o Giuseppe Tucci. Con la differenza che loro amavano andare alla scoperta dell’Oriente mentre Gianluca Frinchillucci, marchigiano di Sant’Angelo in Pontano, punta sul Polo Nord si è innamorato di quei paesaggi ghiacciati, di quei silenzi indescrivibili, di quella natura, di quel sole che per mesi non tramonta mai e di quelle notti dai colori magnetici e soprattutto dei popoli che abitano quelle terre senza tempo che sembrano uscite da un film di fantascienza. “Ogni viaggio è un’esperienza unica”, racconta Frinchillucci con gli occhi che sgorgano di passione. C’è da credergli.



Direttore dal 1999 del Museo Polare Zavatti del Comune di Fermo, si può dire senza timore d’essere smentiti che sia uno degli ultimi esploratori viventi. Di quelli veri, che non girano con troupe televisive, medici e assistenti al seguito. Di quelli che dormono nelle tende, che si “contaminano” con la cultura locale, che quando ritornano da un viaggio non vedono l’ora di ripartire per la successiva spedizione. Studioso di etnostoria e di popolazioni indigene, una laurea presa sul campo delle esplorazioni e degli incontri in terre d’avventura avvicinate grazie al professor Mario Polia di cui è stato assistente per anni. Lui, quando non sta tra i giovani e gli amanti del Museo fermano, o non partecipa a convegni internazionali, preferisce avventurarsi tra i ghiacci del Polo, sulle orme di Silvio Zavatti.


Oggi, lo trovi a Fermo, davanti al computer all’ultimo piano di Villa Vitali, negli spazi che il Comune di Fermo mette a disposizione di uno dei pochi, sicuramente il più rinomato, musei polari d’Europa; domani se ne sta invece alle isole Svalbard, nella base del CNR o nei villaggi della Groenlandia dove sopravvivono pochi eschimesi che vivono di caccia, dove l’alcol è un problema, i suicidi all’ordine del giorno e i giovani hanno poche speranze. Oppure in Siberia, per studiare come si vive nelle tende in mezzo al ghiaccio, a 25 gradi sotto zero, per documentare come una famiglia di Nency (allevatori nomadi) - divenuta una sorta di icona - alleva i suoi figli, gestisce i rapporti parentali e così via. Un avventuroso, dal cuore grande, capace di sposare la causa dei bambini inuit (ovvero della Groenlandia orientale) – pensando magari al suo piccolo Paolo - e di organizzare gemellaggi con i pari età di Fermo e Jesi. Bambini che si scambiano i disegni della propria terra, per amare di più le proprie terre.




“Ho deciso - spiega Frinchillucci - di concentrarmi più sullo studio delle popolazioni di quelle terre visto che tutto il resto lo avevano fatto i miei predecessori, tra cui lo stimatissimo professor Zavatti”.




Ecco perché nel 2002 Frinchillucci e i suoi collaboratori hanno ideato il progetto “Carta dei Popoli Artici” per censire le popolazioni. “Dopo aver effettuato una serie di spedizioni in Groenlandia orientale dove i popoli sono perlopiù cacciatori e dove stiamo lavorando per aprire una nostra base - spiega Frinchillucci annunciando la prossima avventura - ora vogliamo studiare da vicino dove vivevano gli antichi cacciatori artici”.




Ecco perché il 5 maggio un team di ricercatori partirà dalle Marche alla volta delle Isole Svalbard. Oltre al capo-spedizione Frinchillucci, ci saranno il fotografo maceratese Massimo Zanconi, i logisti Giorgio Antonio Marinelli di Civitanova Marche, Ugo Tesei di San Ginesio, Michele Pontrandolfo di Pordenone (uno di quelli che ha già girato più volte e da solo il Polo Nord) ed Enrico Mazzoli di Trieste, questi ultimi due sono gli unici non marchigiani del gruppo. E poi ci sarà Pierluigi Pompei, professore universitario di Camerino, colui che gestisce, suggerisce e controlla l’alimentazione della squadra. Non si mangiano infatti primi piatti fumanti, tra i ghiacci. Anzi, il menù assomiglia molto a quello che si “serve” sulle navicelle spaziali: buste di liofilizzati o, quando capita di essere ospiti delle popolazioni locali, si mangiano foche, carne di orso e cose del genere. “Ci muoviamo con gli zaini e le tende, portarsi dietro altri viveri sarebbe impossibile.




I liofilizzati danno invece il giusto nutrimento col il minimo spazio e peso. Non è un granché ma è l’ideale per queste spedizioni”.


Ad attenderli a braccia aperte, alle Isole Svalbard, ci sarà Stefano Poli, guida artica italiana che vive lì. “Quando metti piede su quelle terre non può far altro che restarne affascinato - spiega Frinchillucci - ti viene una sorta di mal d’Artico: le notti polari, ad esempio, sono un qualcosa di unico. E poi è bello conoscere la gente del posto. Con noi che siamo lì, attrezzati, gasati pronti alla missione e loro che ci accompagnano come dovessero fare una passeggiata domenicale. Fantastico!”. Tobia, la guida groenlandese di Gianluca, è venuto in Italia qualche tempo fa. Non ha resistito molto: qualche giorno e poi è voluto tornarsene tra i suoi ghiacci. “Soffriva moltissimo.




Sa, lassù sono abituati a spazi immensi, a silenzi assordanti e qui si sentiva morire”.
Oltre alle spedizioni, alla gestione del museo e dell’Istituto Geografico Polare “ Silvio Zavatti” possibile grazie anche alla preziosa collaborazione del factotum Roberto Pazzi, da Fermo è partita da qualche settimana anche un’altra interessante iniziativa che vede coinvolti cinque giovani fermani (Fabio Scatasta, Marco Raccichini, Elisa Luzi, Moira Serafini, Laura Bacalini) che insieme hanno formato il “Nanuq team”.




Lo scopo? Promozione dei lavori della Carta dei popoli artici, Progetto inserito nei programmi uffciali dell'Anno Internazionale Polare 2007-2008, delle missioni, delle attività nelle varie scuole del territorio. Si è partiti dalle Elementari .




Presto verranno interessate anche le Medie e le Superiori. Inoltre l’Istituto Zavatti cura anche la pubblicazione della rivista trimestrale “Il Polo”, inviata in tutto il mondo, fondata nel 1945 da Silvio Zavatti e diretta oggi suo figlio Renato e da Gianluca Frinchillucci.