1/31/2007
Shamanistic Research (ISSR)
The 8th Conference of the International Society for Shamanistic Research (ISSR)
Budapest, Hungary, 2006
The 8th Conference of the International Society for Shamanistic Research will be held in Budapest, Hungary, on June 2–7, 2006. The central themes of the conference will be:
(1) The Revival or Continuation of Shamanism
(2) Visual Presentation of Shamanic Rituals
(3) Shamanhood as Means of Identity of Minorities
1/30/2007
Incontro Milano IPY
(ph: G.Frinchillucci)
Primo convegno Polo Nord e Polo Sud il 3 e 4 Febbraio a Milano.
Il primo marzo 2007 inizia l'Anno Polare Internazionale proclamato da ICSU International Council for Science e da WMO World Meteorological Organization.
Molti Istituti di ricerca, Università, Centri studi si sono attivati al fine di approfondire tematiche scientifiche delle aree polari, con particolare relazione al cambiamento climatico.
Circolo Polare, insieme a Roberto Cossu e Davide Sapienza, organizza una serie di incontri su temi più inerenti le popolazioni, i territori, i fenomeni della natura, la storia e le tradizioni dei popoli che vivono nelle terre Artiche, nel grande Nord e in Patagonia; con particolare attenzione agli storici esploratori che hanno guidato, scandagliato, studiato, sofferto e anche perso la vita.
Il programma completo è visionabile e scaricabile al sito www.circolopolare.com
Chiamarlo convegno è un po' troppo pomposo.
Sicuramente consentirà di approfondire la Carta dei Popoli Artici con Gianluca Frinchillucci e la civiltà Inuit con Gabriella Massa; di visionare stupefacenti filmati sulla Baia di Churchill, sul volo di mezzanotte sopra l'Artico, sul primo raggiungimento del Polo Nord a mezzo slitta, da parte di Rinaldo Carrel con la spedizione Monzino; e di stupirci con un film di otto minuti sull'affascinante fenomeno dell'Aurora Boreale.
Davide Sapienza sarà appena rientrato dal Canada e aiuterà a capire alcuni scottanti temi che emergono nelle aree artiche; Carlo Barbieri rientrerà appositamente in Italia per raccontarci la spedizione scientifica di Umberto Nobile con il dirigibile Italia.
Diversi editori illustreranno le ultime novità: Cecilia Perucci presenterà "Vero Nord" di Bruce Henderson (edizioni Corbaccio); Effemme presenterà "L'eroe della frontiera di ghiaccio" di Michael Smith sulla vita di Tom Crean, con cui abbiamo sognato, sofferto e patito, stando comodi in poltrona o in affollate carrozze delle Ferrovie Nord.
48 ore di conoscenza, di approfondimento, di piacere e di scambio:
molti hanno affermato che il programma è ricco, troppo ricco, ma quante occasioni avremo di incontrare persone interessanti, di apprendere, di scambiare idee, di sognare e di organizzare i prossimi viaggi...in sole 48 ore?
Dall Newsletter del 25 gennaio 2007 del Club Circolo Polare di Milano
The Arctic Human Development Report
The first comprehensive assessment of human well-being covering the entire Arctic region.
Cover (PowerPoint)
Foreword, Preface, Acknowledgements, Contents and Summary of Major Findings
Part I: Orientation
Chapter 1: Introduction: Human Development in the Arctic Oran R. Young and Níels Einarsson
Chapter 2: Arctic Demography Dmitry Bogoyavlensky and Andy Siggner
Part II: Core Systems
Chapter 3: Societies and Cultures: Change and Persistence Yvon Csonka and Peter Schweitzer
Chapter 4: Economic Systems Gérard Duhaime
Chapter 5: Political Systems Else Grete Broderstad and Jens Dahl
Chapter 6: Legal Systems Nigel Bankes
Part III: Crosscutting Themes
Chapter 7: Resource Governance Richard A. Caulfield
Chapter 8: Community Viability Nils Aarsæther, Larissa Riabova and Jørgen Ole Bærenholdt
Chapter 9: Human Health and Well-being Carl M. Hild and Vigdis Stordahl
Chapter 10: Education Gunilla Johansson, Chris Paci and Sylvi Stenersen Hovdenak
Chapter 11: Gender Issues Karla Jessen Williamson, Gunhild Hoogensen, Ann Therese Lotherington, Lawrence H. Hamilton, Sarah Savage, Natalia Koukarenko, Marina Kalinina, Ingunn Limstrand, Marit Stemland, Stephanie Irbacher Fox, Joanna Kafarowski, Lindis Sloan and Mariekathrine Poppel
Chapter 12: Circumpolar International Relations and Geopolitics Lassi Heininen
Part IV: Conclusion
Chapter 13: A Human Development Agenda for the Arctic: Major Findings and Emerging Issues Oran R. Young and Níels Einarsson
link
Dente di Narvalo
Il dente del Narvalo è un supersensore
Questa appendice, la cui lunghezza può raggiungere anche i tre metri di lunghezza, serve all'animale per per identificare le acque poco salate (che possono ucciderlo), sia per trovare i suoi pesci preferiti
Per secoli il lungo corno del narvalo è stato venduto, a carissimo prezzo, anche alle più grandi corti d'Europa, non di rado per essere poi trasformato in scettro intarsiato di pietre preziose, spesso spacciandolo per l'appendice nasale del mitico liocorno. Poi, si è scoperto che il lungo ed affilato "naso" del narvalo, è soltanto il suo dente sinistro cresciuto in modo smisurato - anche oltre i tre metri - per ragioni che non si conoscono con precisione, per misteri legati all'evoluzione.
Oggi, un gruppo di ricercatori americani sostiene di avere scoperto che il corno del narvalo è in realtà un vero e proprio sensore. Il mammifero marino, presente soprattutto nelle acque dell'Artico, sfrutta il corno sia per identificare le acque insufficientemente salate (che possono ucciderlo), sia per recarsi in ambienti in cui trovare i suoi pesci preferiti. Le conclusioni dello studio, condotto da Martin Nweeia, in collaborazione con esperti di Harvard e del National Institute of Standards and Technology (Nist), sono state anticipate al New York Times, che ha dedicato l'apertura del suo supplemento scientifico alla eccezionale scoperta.
Nweeia ha presentato per la prima volta lo studio nei giorni scorsi in California, dove a San Diego si è svolta 16ma conferenza biennale sulla biologia dei mammiferi marini. ''Per quanto ci risulta - spiega un altro ricercatore al Nyt, James Mead, dello Smithsonian di Washington, che spesso ha lavorato con Nweeia - si tratta di una cosa unica. E' una grossa novità che conferma quanto poco ne sappiamo su balene e delfini".
La scoperta dei ricercatori americani si basa su una dettagliata analisi del "corno" effettuata con un microscopio elettronico con il quale sono stati scoperti circa 10 milioni di terminali nervosi superficiali, un fatto che permette al narvalo di avere un contatto diretto con la realtà esterna. I nervi del superdente permettono in particolare di percepire i cambiamenti di temperatura, di pressione, e probabilmente molto di più perché le ricerche in merito sono soltanto ai primi passi.
''E' il tipo di scoperta - spiega ancora Mead - che più che offrire soluzioni a un problema, pone un sacco di nuove domande''. I narvali, che hanno sempre affascinato l'uomo, sono un mammifero marino che può raggiungere fino alla tonnellata e mezzo di peso. L'animale è timido ma sociale, e vive in gruppi di 20 o 30 esemplari. Solo quando migrano, i narvali si spostano in branchi fino a mille esemplari. Il mammifero vive soprattutto in acque gelide, intorno all'Artico, soprattutto tra il nordest canadese e la Groenlandia, ma può spingersi fino in Siberia.
Fonte: La Scoperta
Una produzione di Buongiorno Vitaminic SpA
In collaborazione con Newton
articolo tratto da: http://www.arctictravel.it/paginehtml/dentenarvalo.htm
Iceberg nel Mare Artico
Un enorme iceberg si aggira nel Mare Artico
(Ph:G.Frinchillucci, iceberg nella Groenlandia Orientale)
Una grande piattaforma di ghiaccio di circa 15 chilometri per 5 si è staccata il 13 agosto del 2005 dall'Isola di Ellesmere in Canada a 800 chilometri dal Polo Nord e deriva attualmente nell'Oceano Artico.
La scoperta è stata fatta da un'analisi delle fotografie fornite dal Satellite. La rottura si sarebbe prodotta in circa un'ora ed il contraccolpo provocato dalla separazione del blocco di ghiacci dal resto del ghiacciaio ha provocato un'onda d'urto registrata dai sismologi a più di 250 chilometri dal luogo del fenomeno.
I ricercatori dell'Università di Laval a Quebec, si sono recati sul posto ed hanno constatato che si tratta di un avvenimento "drammatico ed inquietante" che dimostra ancora di più che il Grande Nord canadese sta sparendo. E' chiaro che questo è un segno di una possibile accelerazione del cambio di clima.
News del 28-01-2007
Clima, l'Onu lancia l'allarme
Gli esperti delle Nazioni Unite puntano il dito sulle emissioni di ossido di carbonio come causa principale dell’aumento delle temperature
PARIGI
Circa cinquecento esperti sono riuniti a partire da oggi all’Unesco a Parigi per dare il loro verdetto sul riscaldamento climatico che minaccia il pianeta entro la fine del secolo. Il loro rapporto verrà presentato il 2 febbraio, ma intanto sono note già le conclusioni di massima degli scienziati: i rischi legati ai mutamenti climatici sono concreti e, anzi, più gravi di quanto si pensasse. Il riscaldamento procede più in fretta del previsto: per la fine del secolo il rialzo termico, già calcolato fra i due gradi centigradi e i quattro e mezzo, potrebbe arrivare a sei gradi. Con conseguenze profonde e catastrofiche per tutto il pianeta.
I delegati della Commissione Intergovernativa sui Cambiamenti Climatici (Ipcc) sono attualmente impegnati a redigere un «documento sulle intenzioni dei decisori», sintesi in una decina di fogli delle circa mille pagine del loro quarto rapporto scientifico (il precedente era stato redatto nel 2001). Il testo sarà negoziato riga per riga prima di essere approvato. Il dato di base, tuttavia, è ormai noto: non soltanto l’entità del fenomeno, ma soprattutto la sua rapidità costituiscono un «grave rischio»: lo ha affermato Hervé Le Treut, uno degli esperti della commissione creata dall’Onu, in un’intervista rilasciata all’Afp.
L’Ipcc, che ha analizzato la situazione climatica del pianeta è «uno strumento attraverso il quale si può esprimere una forma di consenso nella comunità scientifica e che permette di agire da interfaccia con la politica», spiega Le Treut. Il clima cambia, e su questo non vi possono essere dubbi. Ci si chiede se la causa debba attribuirsi gli esseri umani: e la risposta è sempre più certamente affermativa. I progressi scientifici stanno confermando i risultati delle prime simulazioni, e a queste valutazioni possiamo aggiungere oggi ulteriori rischi di cui in precedenza avevamo una minore consapevolezza«, continua lo scienziato francese.
Alcuni processi infatti sono in grado di amplificare i cambiamenti climatici se si supera un certo livello critico di temperatura: «Il rischio più grave è quello legato alla velocità del cambiamento e alle conseguenze destabilizzanti che questo può avere a tutti i livelli, compresi quelli sociale e politico». Lo scienziato francese si è peraltro detto contrario alla pubblicazione nel rapporto di una «forchetta» dei rialzi previsti delle temperature medie a seconda degli scenari economici futuri (da 1,4 a 5,8 gradi entro il 2100, rispetto ai valori registrati nel 1990): «Gli scenari sono stati scelti in modo un pò arbitrario: si possono avere valori differenti ma questo non vuol dire che il pericolo per il pianeta sia differente».
Secondo una bozza del rapporto ottenuta dal quotidiano britannico Independent, la situazione climatica è aggravata dall’instaurarsi di una specie di »circolo vizioso« ormai in atto e che non si sa bene come fermare. L’aumento della temperatura fa aumentare infatti l’evaporazione di oceani e mari, rendendo più denso il vapore acqueo nell’atmosfera, e di conseguenza intensificando l’effetto-serra. Dal 1970 a oggi, la concentrazione di vapore acqueo è aumentata del 4 per cento, e questo porta a modelli climatici che indicano un riscaldamento di ben sei gradi per la fine del secolo. Inoltre, il surriscaldamento globale indebolisce le capacità del pianeta assorbire l’anidride carbonica (il principale gas-serra) in eccesso nell’atmosfera. Questo potrebbe accrescere del 44% le concentrazioni di CO2 atmosferico, con la conseguenza di un aumento della temperatura media di 1,2 gradi in più del previsto dai modelli climatici precedenti.
Si mobilitano intanto le associazioni ecologiste per sollecitare nell’opinione pubblica e nei governi una presa d’atto della situazione. Alcuni »arrampicatori« dell’associazione ecologista Greenpeace Francia hanno issato tre striscioni sulla sommità della Torre Eiffel, dopo che una quarantina di militanti del gruppo avevano preso d’assalto il celebre monumento parigino in mattinata mentre si apriva la conferenza degli esperti climatici. Verso le 13, erano stati issati due striscioni, l’uno con il nome di Greenpeace e l’altro in cui si leggeva: «Non è troppo tardi». Deve ancora essere issato un terzo striscione gigante, di 50 metri per 10, su cui figura un termometro bloccato a 2 gradi, la soglia «limite» di riscaldamento al di là della quale la situazione climatica del pianeta diventerebbe ingestibile.
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/esteri/200701articoli/17273girata.asp
1/25/2007
Umberto Nobile
ho trovato sul sito www.oggi7.info "Punti di vista degli italiani in America", un interessante articolo su Nobile.
PERSONAGGI / Umberto Nobile / Nobile di nome e di fatto
di Gianna Venturini
Una semplice targa su una casa borghese del quartiere Prati di Roma ricorda Umberto Nobile, Generale dell’aviazione, pioniere del volo su aeromobile più-leggero-dell’aria. Ma oltrepassata la soglia del palazzo ci si trova di fronte all’uomo Nobile, al marito, padre, nonno, collega, professore universitario.
Incontro sua figlia Maria, l’unica erede di Umberto, il quale chiese esplicitamente che al nome di sposa di sua figlia potesse venire aggiunto il patronimico di nascita. La signora si chiama infatti, come appare sulla targa d’ottone sulla porta di casa: Maria Nobile-Schettini. E’ una signora dai lineamenti belli e molto giovane per la sua età, che porta avanti con agilità e vivezza di ricordi la nostra conversazione.
All’interno è tutta una saga familiare, foto incorniciate, oggetti e ambiente che fa sentire intorno a noi l’essenza di Umberto Nobile, morto ormai da venticinque anni, una essenza gentile, affettuosa, di un personaggio integro e colmo di attenzioni per i suoi familiari, dipendenti, collaboratori.
Basta dare un’occhiata alle lettere che in drammatiche circostanze o nel corso dei suoi frequenti viaggi di studio e lavoro ha scritto alla moglie, toccanti, traboccanti di tenerezza per capire l’intima natura dell’intrepido conquistatore del Polo Nord.
Figlia unica di un padre importante, del quale per sua fortuna ha avuto la compagnia per lunghissimi anni, fino alla morte avvenuta a 94 anni. Chi era Nobile in Famiglia?
''Fino al 1943, cioè alla caduta del fascismo, mio padre era presente ad intermittenza, ma quando era con noi subivamo il fascino della sua presenza, dell’affetto per mia madre, la protezione che offriva a tutti, la sua allegria, i suoi racconti. Siamo stati insieme dopo l’immatura morte di mia madre, quando ho spesso viaggiato con lui, anche in Russia e negli stati nordici. Andò in America da solo, quando ero già grande ma rientrò in tempo dagli Usa per veder nascere la mia prima figlia, Carla. Ma la tregua di felicità durò poco perché i tedeschi a settembre di quello stesso anno presero il potere a Roma e mio padre divise con i suoi concittadini tutti i disagi ed i pericoli, sottomettendosi alle fatiche della sopravvivenza e alla ricerca di dare aiuto non solo alla mia giovane famiglia, perché papà aveva il carico di quelle delle due sorelle rimaste vedove, una delle quali, l’amatissima Romilda, si spense poco dopo la drammatica uccisione di suo marito da parte dei tedeschi, lasciando gli orfani completamente a carico del fratello Umberto.''
Mi pare che suo padre proveniva dagli Stati Uniti, con un rocambolesco viaggio tra i mille pericoli di un mondo in fiamme.
''Mio padre racconta nei suoi libri del suo periodo finale del suo soggiorno americano, iniziato nel giugno 1939, quando in Italia gli venne preclusa ogni attività professionale, la Cattedra di Ingegneria Aeronautica a Napoli soppressa e ridotta ad un esame complementare. Si rese perfino conto che la frequenza di questo corso poteva pesare negativamente sulla carriera futura dei suoi allievi. A questo punto c’erano anche problemi economici.
Il regime fascista che lo avversava in tutti i modi, specialmente dopo la sua permanenza in Russia, in quanto colpevole di aver intralciato i piani di Italo Balbo, il potente quadrunviro, che aveva fin dagli anni venti organizzato una subdola campagna nello stesso momento del trionfo di Nobile nel 1926 dopo il suo successo come trasvolatore in dirigibile del Polo Nord con Amundsen. Balbo non credeva nello sviluppo dei dirigibili, era concentrato a creare e a sviluppare l’aeronautica militare italiana basata sull’aereo e soprattutto non desiderava condividere i suoi incarichi con altri personaggi famosi e competenti. La fortunata trasvolata di Nobile ed il suo trionfo ovunque andasse nel mondo lo rendeva furioso e Balbo aveva un forte ascendente su Mussolini che pure aveva inizialmente simpatia per Nobile.
Italo Balbo é abbattuto il 28 giugno 1940 a Tobruch dalla contraerea italiana. Con lui perirono Nello Quilici ed altri italiani in un incidente mai completamente chiarito. Era appena iniziata una guerra disperata, nella quale il fascismo sperava di confermare il suo potere, gli antifascisti la sua caduta rovinosa. L’una e l’altra ipotesi sarebbe costata lutti e stragi terribili.
Ma per tornare a mio padre, penso che ai lettori italoamericani possa interessare il racconto delle traversie che mio padre passò negli Usa allo scoppio della guerra in Europa e subito dopo l’entrata nel conflitto degli Stati Uniti. Egli era andato, con l’appoggio del papa Pio XI, prima della sua morte, a dirigere la cattedra di Ingegneria Aeronautica nella scuola Holy Name di Lockport presso Chicago. Vi arrivò con la sua cagnetta Totosca, nata durante il nostro soggiorno a Mosca, che subito aumentò la amiglia scodellando tre cuccioli, due femmine e un maschietto, il quale rimase con mio padre insieme a Totosca e fu un bene, perché la povera cagnetta morì pochi mesi dopo. E’ importante parlare di questi compagni della vita di mio padre che fu amante degli animali, ebbe sempre un gran numero di cani e gatti insieme a sé, e ci ha tramandato geneticamente questo affetto. Tutto il mondo sa che la sua randagia terrier Titina fu il solo cane che andò due volte al Polo, visse i terribili cinquanta giorni nella tenda rossa e fu la fedele compagna di Nobile per i suoi 14 anni di vita.. Negli Usa, l’entrata in guerra dell’Italia nel 1940, l’alleanza con i nazisti, l’aggressione alla Grecia, la disfatta in Albania furono eventi sofferti come un’onta personale dagli italiani d’America che negli ultimi anni avevano visto con orgoglio l’affermazione dell’Italia anche attraverso le imprese di Nobile. Ma il peggio venne un anno dopo, con la stupida dichiarazione di guerra dell’Italia agli Stati Uniti, entrati nel conflitto contro il Giappone dopo l’attacco del 7 dicembre 1941 a Pearl Harbor. Le cose precipitarono per i nostri connazionali, divenuti ''enemy alien'' che subirono umilianti peripezie. Mio padre voleva tornare in Italia da me a dai suoi nipoti, ma il Dipartimento di Stato a Washington aveva deciso che nessun biglietto di viaggi0o potesse essere rilasciato agli italiani. Mio padre si rivolse per aiuto al Vaticano e Monsignor Cicognani intervenne presso il segretario di Stato Hull e finalmente dopo un anno e mezzo, a mio padre fu detto che poteva partire nel maggio 1942 con la nave Drottingholm. Ma il giorno della partenza fu obbligato a denudarsi completamente per essere perquisito insieme agli altri partenti. Con questo atto umiliante terminò il suo travagliato soggiorno americano..''
In Italia cambiò l’atteggiamento negativo contro suo padre quando cadde il fascismo?
''Certamente, anche se non ci fu praticamente tempo di tirare il fiato. Mio padre era impegnatissimo a difenderci dalle durezze della guerra. Poi gli americani cominciarono dal 19 luglio ‘43 a bombardare pesantemente Roma facendo migliaia di vittime, per giunta io ero in stato interessante avanzato di Carla. Ricordo che mio padre attraversò in grande angoscia la città durante il bombardamento per raggiungermi.
E dopo la liberazione di Roma?
''Mio padre si mise immediatamente all’opera per riscattare le infamanti accuse che il regime aveva costruito attorno alle vicende della sua sfortunata impresa del 1928 e le terribili vicende della Tenda rossa. In pochissimo tempo fu stampato il libro ''Posso dire la verità'' con una lunga prefazione di Benedetto Croce. Nel 1944 mio padre aveva chiesto al capo del Governo Bonomi, la revisione delle conclusioni della Commissione d’indagine del 1928 ordinata dal governo fascista sulla spedizione dell’Italia e del suo epilogo, ed infatti pochi mesi dopo fu reintegrato nella sua carriera e riammesso nei ruoli dell’aeronautica.
Si aprì allora un interessante periodo della vita di mio padre che non si era mai occupato di politica attiva, ma quando si trattò di rifondare la Repubblica Italiana venne invitato sia da parte della Democrazia Cristiana che dal PCI di candidarsi per essere eletto nella assemblea costituente. L’assicurazione di indipendenza promessa e rispettata da parte di Togliatti, lo convinsero a presentarsi appunto come indipendente, nelle liste del PCI. Venne eletto, ma ebbi dei dispiaceri con gli amici in Vaticano, tanto che si dimise dall’Accademia pontificia delle Scienze.''
Come si espresse durante la stesura della Costituzione in tema di ordinamento regionale, argomento di massimo interesse in questi giorni di cambiamento delle norme costituzionali?
''Intendiamoci: se regionalismo significa prendere interesse del passato del proprio territorio, tradizioni, costumi, paesaggi e storie, dialetti e canti, allora mio padre era regionalista convinto, ma se si trattava di dividere l’Italia in tante regioni autonome, ognuna che avrebbe moltiplicato i meccanismi burocratici, con il pericolo della disgregazione dell’unità nazionale, di una dispersione delle risorse finanziarie, allora mio padre fu accanito avversario. Ma dopo aver svolto questo compito di costituente, mio padre diede un addio alla politica attiva rinunciando a presentarsi come candidato alle elezioni del 1948.''
Il tempo passato dall’odissea della Tenda Rossa, il brandello di stoffa sperduto nella immane distesa dell’artico che mantenne in vita otto uomini e una cagnetta, ha permesso di riabilitare il comportamento di Nobile e svelare la verità
link dell'articolo: http://www.oggi7.info/archivio/dettaglio.asp?Art_Id=906&data=05/02/2004
1/15/2007
Gli ultimi Inuit
Domenica 7 gennaio, è uscito su Repubblica l'articolo di Giampaolo Visetti. E' un articolo molto drammatico che getta un sasso nello stagno dell'indifferenza.
Spesso si parla di Artico dimenticandoci il dramma di molte popolazioni native. Ne riporto la trascrizione. Dal 2002 mi occupo di Ammassalik e conosco bene personalmente le persone citate nell'articolo.
I lettori del blog riconosceranno i nomi (Robert Peroni, il cacciatore Tobias, lo scultore Gedion...).
Giampaolo Visetti mi aveva preannunciato che non mi sarebbe piaciuto l'articolo, invece mi piace e lo reputo utile.
E' possibile anche scaricarlo dalla rete.
E' possibile anche scaricarlo dalla rete.
GLI ULTIMI INUIT.
I GHIACCIAI SI SCIOLGONO, LA CACCIA E' PROIBITA: IL PICCOLO POPOLO DEL GRANDE NORD SI STA ESTINGUNEDO IN UN'EPIDEMIA DI SUICIDI.
E' appeso fuori dalla porta rossa, rigido come un mazzo di alisangà steso ad essiccare. Il pìterak polare, frustandolo, lo solleva verso il cielo nero. I cani da slitta mugolano da ore. Non possono assaggiarlo, così piegato dal vento.
Anche Taqissimat, nell’indistinguibile notte artica, si è impiccato. Tre cacciatori di foche, al primo chiarore, lo adagiano in una baracca ghiacciata. Altri giovani corpi, ibernati, attendono il sole di giugno per essere sepolti sotto cumuli di pietre.
Il popolo più felice del mondo ha deciso di morire.
Giù al porticciolo paralizzato nel pack, i vecchi pescatori accusano Tornarak, il demone cattivo che sorvola le piste innevate sulle ali del corvo. Il dieci per cento dei figli della Groenlandia varca ormai volontariamente la soglia del mare eterno prima dei diciotto anni. Fino a quindici suicidi di adolescenti, ogni primavera, in villaggi di cento persone. Una taciuta, inarrestabile strage.
Gli stessi Inuit nascondono la propria autocondanna all’estinzione. La vecchia Gudrun, la sciamana che interrogava i tupilaq in osso di narvalo, aveva visto tutto: il popolo del Grande Nord, mongoli polari scacciati dalle steppe siberiane, sterminato dall’incontro con l’uomo a cui cresce il pelo sulle guance.
Le notizie dei suicidi, per fame o per onore, sono rimaste a lungo imprigionate tra gli iceberg. Fino a quando anche Nikapianguaq si è immersa nell’oceano con i suoi quattro bambini. Enok, il suo uomo, era scomparso nel fiordo. Travolto dalla slitta. Nessuno avrebbe più portato carne. Così lei è andata incontro alla regina che libera le foche grasse, nascoste nei suoi lunghi capelli bianchi. La tragedia degli Inuit, per la prima volta, ha conquistato i titoli dei giornali danesi.
Davvero la gente del sorriso, l’eschimese che non conosce guerra, violenza e tristezza, ha scelto di sparire prima dell’ultimo scontro con la civiltà occidentale? La conferma, venerdì pomeriggio, è distesa davanti al magazzino di Tasiilaq.
Decine di corpi giacciono tra i cristalli di neve. Come morti, tra lattine di birra e bottiglie di vodka. Ogni due settimane uomini e donne ritirano il sussidio danese e lo consumano per dimenticare. Qualcuno brucia tutto in shampoo e tintura arancione per capelli. L’80 per cento si ubriacano. Iniziano a dieci anni, assieme ai genitori. Avvelenati dall’alcol, a trent’anni sono vecchi. Smarriscono il sesto senso che salva dalla banchisa e suggerisce i passi dell’orso bianco. Indifesi nella natura che li ha sempre protetti. Le statistiche imputano la depressione sociale alla prolungata mancanza invernale di luce.
Tobias Ignatiussen, il cacciatore più forte della Groenlandia orientale, strizza ancora di più le fessure degli occhi. No. «Foche», dice. «E televisione».
Il primo bianco, nelle baie dell’Ammassalik, spuntò nel 1884. I marines americani, nella Seconda guerra mondiale. Il primo turista provò a sciare verso Ikateq nel 1982. Ghiaccio e correnti, bloccando i fiordi, avevano isolato per secoli gli Inuit. Anche dai vichinghi, che ne avvistavano il fumo.
Un igluliak in blocchi di neve ogni quaranta chilometri, per ingannare l’olfatto delle foche. Un paio di incontri all’anno con un altro clan indigeno. Credevano che il ghiaccio, frantumandosi nella baia di Baffin, facesse rotta verso il nulla. Poi i loro kayak di cuoio si sono schiantati nelle baleniere d’acciaio norvegesi. Anni Cinquanta: uno spartiacque, per la loro esistenza. Dalla civiltà dell’avorio di tricheco a satellite, computer, elicottero e infine cellulare. Dalle pelli di foca alle corone danesi. Troppo, in vent’anni.
I cacciatori sono stati soppiantati dai polli surgelati dello spaccio. I loro figli, analfabeti, non sostengono l’assiduità di una professione. Balbettano tre dialetti asintattici e polisillabici. Non possono più essere groenlandesi; non saranno mai protagonisti dell’Occidente. Anche Pàvia e suo figlio Simiujok, nell’iglu di torba, sonnecchiano ipnotizzati davanti ai film-spazzatura acquistati con i contributi statali.
Giù al porticciolo paralizzato nel pack, i vecchi pescatori accusano Tornarak, il demone cattivo che sorvola le piste innevate sulle ali del corvo. Il dieci per cento dei figli della Groenlandia varca ormai volontariamente la soglia del mare eterno prima dei diciotto anni. Fino a quindici suicidi di adolescenti, ogni primavera, in villaggi di cento persone. Una taciuta, inarrestabile strage.
Gli stessi Inuit nascondono la propria autocondanna all’estinzione. La vecchia Gudrun, la sciamana che interrogava i tupilaq in osso di narvalo, aveva visto tutto: il popolo del Grande Nord, mongoli polari scacciati dalle steppe siberiane, sterminato dall’incontro con l’uomo a cui cresce il pelo sulle guance.
Le notizie dei suicidi, per fame o per onore, sono rimaste a lungo imprigionate tra gli iceberg. Fino a quando anche Nikapianguaq si è immersa nell’oceano con i suoi quattro bambini. Enok, il suo uomo, era scomparso nel fiordo. Travolto dalla slitta. Nessuno avrebbe più portato carne. Così lei è andata incontro alla regina che libera le foche grasse, nascoste nei suoi lunghi capelli bianchi. La tragedia degli Inuit, per la prima volta, ha conquistato i titoli dei giornali danesi.
Davvero la gente del sorriso, l’eschimese che non conosce guerra, violenza e tristezza, ha scelto di sparire prima dell’ultimo scontro con la civiltà occidentale? La conferma, venerdì pomeriggio, è distesa davanti al magazzino di Tasiilaq.
Decine di corpi giacciono tra i cristalli di neve. Come morti, tra lattine di birra e bottiglie di vodka. Ogni due settimane uomini e donne ritirano il sussidio danese e lo consumano per dimenticare. Qualcuno brucia tutto in shampoo e tintura arancione per capelli. L’80 per cento si ubriacano. Iniziano a dieci anni, assieme ai genitori. Avvelenati dall’alcol, a trent’anni sono vecchi. Smarriscono il sesto senso che salva dalla banchisa e suggerisce i passi dell’orso bianco. Indifesi nella natura che li ha sempre protetti. Le statistiche imputano la depressione sociale alla prolungata mancanza invernale di luce.
Tobias Ignatiussen, il cacciatore più forte della Groenlandia orientale, strizza ancora di più le fessure degli occhi. No. «Foche», dice. «E televisione».
Il primo bianco, nelle baie dell’Ammassalik, spuntò nel 1884. I marines americani, nella Seconda guerra mondiale. Il primo turista provò a sciare verso Ikateq nel 1982. Ghiaccio e correnti, bloccando i fiordi, avevano isolato per secoli gli Inuit. Anche dai vichinghi, che ne avvistavano il fumo.
Un igluliak in blocchi di neve ogni quaranta chilometri, per ingannare l’olfatto delle foche. Un paio di incontri all’anno con un altro clan indigeno. Credevano che il ghiaccio, frantumandosi nella baia di Baffin, facesse rotta verso il nulla. Poi i loro kayak di cuoio si sono schiantati nelle baleniere d’acciaio norvegesi. Anni Cinquanta: uno spartiacque, per la loro esistenza. Dalla civiltà dell’avorio di tricheco a satellite, computer, elicottero e infine cellulare. Dalle pelli di foca alle corone danesi. Troppo, in vent’anni.
I cacciatori sono stati soppiantati dai polli surgelati dello spaccio. I loro figli, analfabeti, non sostengono l’assiduità di una professione. Balbettano tre dialetti asintattici e polisillabici. Non possono più essere groenlandesi; non saranno mai protagonisti dell’Occidente. Anche Pàvia e suo figlio Simiujok, nell’iglu di torba, sonnecchiano ipnotizzati davanti ai film-spazzatura acquistati con i contributi statali.
Trecento videoregistratori e quaranta tivù per 3100 persone. Vecchie epopee naziste, i fantasmi del passato proiettati nel presente. Si dileguano, se avvistano un baffuto qrattunàq, il colonizzatore bianco.
Sono convinti che Hitler sia ancora vivo e che palleggi con il mondo nel Reichstag di Berlino.
Le loro mute di indomabili husky, intanto, perdono la sensibilità che li riporta sulla via invisibile del villaggio. «Li abbiamo narcotizzati e condannati ad una morte lenta», dice Otto Soerensen, per diciassette anni psicologo a Nuuk, «ma loro preferiscono autodistruggersi subito».
Poi sono arrivati gli ecologisti. Greenpeace e Wwf, qui, sono sigle assimilate alla Gestapo: un nemico spietato. Vietato cacciare foche. Vietato cacciare orsi. Vietato cacciare balene. I prezzi sono crollati.
Tobias traduce nella lingua degli iivi, gli uomini: vietato sopravvivere. «In Groenlandia nessuno», dice, «ha mai sterminato i cuccioli di foca con mazze e picconi. Il peso dell’animale, per noi, è valore. Una sera ci hanno comunicato che in Europa nessuno avrebbe più acquistato carne, pelli e ossa.
In due mesi centinaia di cacciatori Inuit si sono sparati». Sui fiordi di Kalaallit Nunaat, fino al nord dell’ultima Thule, il 40 per cento degli abitanti è morto di fame. Un colonialista eccidio colposo, dettato da ignoranza e arroganza culturale. Uno scandalo dimenticato del nuovo secolo.
Nell’Artico un maschio che non caccia è inutile. Perde la sua autorità sul clan, la fiducia in se stesso. Si vergogna. Deve stendere la mano che impugnava l’arpione. «Non può più andare a caccia», sussurra il villaggio. Come quando i colleghi della Borsa dicono di un amministratore delegato: «Ha il cancro». A Londra crolla un titolo.
A Tinetiqilaq uno finisce diretto nella sfida del tamburo. Per tre giorni, al ritmo trasmesso dallo stomaco dell’orso, due condannati si provocano davanti al villaggio. Le risate di amici e parenti decretano chi è salvo e chi deve lasciare la famiglia. L’abbandonato non rivede i fiori gialli di giugno. Nell’incertezza, la guerra delle battute può essere ripetuta per anni. Fino a quando lo sconfitto si allontana, tra l’ilarità generale, per morire da solo.
«I filmati canadesi sulla caccia», dice il sindaco di Tasiilaq, Maro Mikkaelsen, «sono stati devastanti. La verità ora è stata ristabilita, gli animalisti hanno mandato le scuse via fax: ma era troppo tardi». Quest’anno i 2.556 Inuit affacciati sull’Islanda, sparsi su una superficie ghiacciata più lunga dell’Europa, hanno catturato 160 mila foche, 568 beluga, 794 narvali, 35 orsi bianchi e 3 balene. Niente, rispetto alla popolazione selvatica. Consiglio artico e Ue stanno per contingentare la cattura di foche e orsi. L’esportazione è di nuovo vietata.
Un cacciatore poteva guadagnare mille euro al mese: sfamava la famiglia, era forte, poteva generare dieci figli, che gli procurassero carne anche da vecchio. Un disoccupato riceve 300 euro dal governo di Copenhagen: mangia due volte alla settimana, vale meno dello sterco di bue muschiato, i suoi bambini spariscono nelle raffiche dolci e umide del femminile Naqaiaq. A cacciare, nel sud dell’isola più grande del mondo, sono rimasti in 250. Meno del doppio in tutta la Groenlandia. Un cortocircuito biologico ed esistenziale.
L’umanità vittoriosa ha stabilito che questa minoranza non conta nulla. Non riesce a tutelarla, non la capisce. Chiacchiera sul clima, ignora la povertà che non fa notizia, la fame che uccide anche nel nord del pianeta. Ora si accorge della propria sconfitta. Non ha protetto gli eredi estremi di migrazioni millenarie. Una perdita irreparabile e incalcolabile. Gli anziani groenlandesi rinunciano a mettere il fucile nelle mani dei nipotini di cinque anni. Poco dopo, gonfi di whisky e abbracciati nel chiarore elettrico dell’aurora boreale, bussano alla “Red House”.
Sono le tre di notte. Anche Nasunguaq e Uiuat barcollano tra altri corpi rannicchiati al caldo dell’unico centro sociale eretto sul Circolo polare artico. Hanno vent’anni, indossano Levi’s e calzano All Star. Sono fidanzati e disperati. Anni di serial tv hanno insegnato come fingono di vivere i loro coetanei di Parigi e New York. Non accettano più la polvere di neve spruzzata tra le fessure della truna, la solitudine, la puzza di foca fritta e interiora di bue muschiato impregnata nella pelle. Ora sanno che c’è un altro mondo e un’altra vita. Irraggiungibili. Si battono sul cuore. «Ho freddo qui dentro», dice la ragazza. «Abbiamo paura». Smaltiscono la sbronza quotidiana tra una massa di miserabili compaesani alcolizzati. A rivestirli, riscaldarli, sfamarli ed ascoltarli, solo l’italo-tedesco Robert Peroni.
Gli Inuit, piuttosto che lamentarsi, preferiscono crepare. «Sono un popolo romantico. Vivono di sogni, fieri e indifesi come i bambini. Nel 1980 mi hanno chiesto di restare qui», dice Peroni. «Ho scelto di essere uno di loro e di non abbandonarli più». Dietro il dramma di quelli che alla fine del Novecento erano gli individui più felici e longevi del pianeta e che oggi muoiono in media a cinquant’anni, emerge una figura straordinaria. Alpinista, scopritore solitario degli immensi deserti africani ed esploratore, Peroni è l’unico essere umano ad aver attraversato la Groenlandia del nord da solo e senza assistenza: 1400 chilometri, 88 giorni a piedi sul ghiaccio. Scalava gli iceberg alla deriva e le vette inviolate che emergono dal mare con pareti ghiacciate di tremila metri. Conteso da sponsor e donne affascinanti, in Europa guidava una Porsche. Era “mister No Limits”, il re del Polo. Una notte ha risposto al richiamo degli inascolati poveri dell’ignorato nord del mondo. Animista, sposo spirituale di una sciamana, padre adottivo di molti Inuit, è evaso per sempre dalla prigione della fama. Ha accettato di comprare e aprire a tutti la Red House. Giorno e notte, sempre. Chi si salva dall’alcol viene assunto per riscattare gli altri. Chi rinuncia al suicidio impara a guidare gli scialpinisti lungo i pendii più emozionanti della Terra. Chi non beve cucina per gli altri e mangia gratis. I cacciatori eskimesi riprendono a penetrare nelle antiche valli da preda assieme agli ospiti. La sera i risorti dell’Ammassalik giocano a carte, intagliano denti di orca, spolpano merluzzo e alibut, ballano. Possono tornare a battere il tamburo per raggiungere la sublimazione che li mette in contatto con le anime dei defunti.
Gli abbandonati del paradiso artico stanno raccogliendo le firme infantili di chi non sa scrivere. La voce solca le baie sui veloci umiak in pelle di foca. Condannati all’estinzione culturale, gli Inuit vogliono fare l’ultimo regalo al loro adàda: chiedono che al “padre” italiano venga assegnato il premio Nobel per la pace. Mai una denuncia, un contributo, una richiesta di elemosina. Ha restituito loro la dignità, lotta per soffocare l’odio etnico contro i danesi, dimostra che anche un eskimese può lavorare nella dittatura del consumo. «C’è un solo modo», dice Peroni, «per comprendere questa cultura. Viverla. Trasferirsi in essa, pregare di essere sopportato come ospite discreto, imparare la lingua. Ma nell’istante in cui si inizia a capire, si perde il bisogno di spiegare. Chiarire un fenomeno significa allontanarsi da esso».
Pure adesso, gravemente ammalato, il “Hghobert” degli Inuit è tornato. È al lavoro con gli ultimi, per rallentarne l’estinzione. Il 2007 sarà l’Anno internazionale polare. «Invece che bruciare milioni in inutili convegni», dice lo scultore di avorio Gideon Qeqe, «si potrebbe risarcirci riconoscendo la grandezza del missionario laico che ci ha amato e compreso, rinunciando a giudicarci». Un’idea folle, che scuote il Nord, spaventa, ma raccoglie consenso. Anche il suo figlio adottivo, Asser, tre anni fa si è tolto la vita. Aveva 27 anni. Sognava di essere un grande cacciatore, di avere una famiglia numerosa e di vivere libero nella natura. Invece era solo uno dei tanti auto-isolati. In settembre ha atteso che il suo adàda lasciasse Tasiilaq per qualche giorno. «Sapevo che non poteva sopravvivere », dice Peroni, «ma è stata la mia sconfitta. Certe cose non puoi esprimerle: devi accettare ciò che vedi e quello che senti».
Un riconoscimento mondiale a Peroni sarebbe un atto di giustizia per gli Inuit, ma pure un impegno a rispettare tutti i popoli minacciati e le minoranze della Terra. Il primo segnale d’attenzione verso l’ambiente più fragile e incantato che si possa guardare. Il cielo è viola quando Ululiq infila le dita nella manopola di pelliccia. La baia è silenziosa. La banchisa è rotta da strisce gialle, da cui tracima una gelatinosa acqua verde. Dietro i crinali, del ghiaccio si spezza e sembra che l’inverno tuoni contro il vento. Il cacciatore di Sermiligaq, anni fa, ha accompagnato Peroni sulle Alpi. Non credeva che nei masi alti, al sommo dei pascoli scoscesi, potesse vivere qualcuno. «Impossibile», sentenziò. «Come farebbero a trascinare i trecento chili di una foca fino lassù?». I due amici, per Capodanno, cercano un animale da arrostire insieme. Forse è l’ultima occasione offerta dalla sorte. Ululiq racconta per la millesima volta la leggenda dell’uomo-aquila che fuggì dai bianchi cattivi volando verso il Sole. Poi la storia del tamburo che seguitava ad essere percosso dopo che lo sciamano se ne era andato. Nei miti è racchiusa l’anima del loro popolo.
Sognano e sparano. La foca si irrigidisce sul bordo del foro aperto nel pack. Un rivo bruno s’impregna nel giaccio azzurro. Armonia con la natura, sul fiordo, significa uccidere. Ancora un giorno, liberi. Gli Inuit hanno deciso di morire. Ma non rinunciano a vivere.
(le fotografie sono le mie)
2007 Anno Polare: Milano
Nell'ambito del Convegno "POLO SUD, POLO NORD:STORIA, MISTERO E FASCINO DEGLI ESTREMI CHE SI TOCCANO" A cura di Roberto Cossu e Aldo Scaiano (Club Circolopolare, terrò una conferenza dal titolo:La Carta dei Popoli Artici: progetto italiano nell’ambito dell’Anno Polare. La figura di Silvio Zavatti: Fondatore del Museo Polare Etnografico di Fermo. A cura di Gianluca Frinchillucci – Direttore Museo Polare Etnografico "Silvio Zavatti" di Fermo.
Il programma completo dell'iniziativa è consultabile su: circolopolare.com
1/05/2007
2007 Anno Polare: Roma
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